Birra e Vino: matrimonio o divorzio?

Pubblicato il

 

Non che siano proprio una novità, ma in questo ultimo periodo spopolano gli esperimenti dei microbirrifici alle birre con il mosto d’uva. Eretici o visionari sta di fatto che la birra che prevede l’utilizzo dell’uva come ingrediente aggiunto a più di qualcuno è parsa una bestemmia.  Sarà che siamo la patria del buono, e forse questo voler sempre insistere a mettere tutte le cose buone insieme sta diventando un lato molto kitsch dell’italiano, o sarà che proprio siamo assetati di gusti nuovi.

Indi per cui: atto dissacrante o visionaria follia del genio italiano??

Senza pregiudizi culturali cerchiamo di capire l’utilizzo del nettare divino, e quando può portare un beneficio alla birra.

Intanto precisiamo che inserire l’uva in produzione non ha niente a che vedere con le birre aromatizzate stile Lindemans e quindi con tutto quello che ci sta dentro.

L’utilizzo  dell’uva può essere fatto in maniera precisa e coscienziosa o alla perfetta “carlona”. Nel primo caso l’uva diviene lo strumento e pretesto per fermentazioni spontanee, gradazioni importanti, arrotondamento o esaltazione dei sapori; la birra rimane pertanto birra a tutti gli effetti e l’uva si unisce in un abbraccio unico di sapori. Ovviamente per fare ciò ci vuole una profonda conoscenza di entrambi i prodotti, o una stretta collaborazione di esperti per saper dosare le mille sfaccettature possibili. Nel secondo caso invece è l’apocalisse del gusto, la morte del buon senso, vere e proprie birre aromatizzate all’uva che per niente si sposa con la birra, facendola diventare una cosa più simile alla Redbull che a un nettare divino. È il caso di sperimentazioni giusto per seguire la moda e non il buon senso, che trovano il tempo che trovano, oltre a rovinare la reputazione del  birrificio, se prima ne aveva una.

Morale della favola? Piace o non piace, sta di fatto che suddetta moda è già stata classificata e ci ritroviamo affibbiato  dal Beer Judge Certification Program uno stile senza neanche saperlo, le IGA, dir si voglia Italian Grape Ale;  stile tutto italiano con nome ovviamente straniero.

Precisiamo però che non abbiamo inventato niente di nuovo, forse abbiamo solo perso il buon senso a differenza degli altri, e continuiamo in maniera testarda ad imporre matrimoni di gusti senza saperlo fare. I primi esperimenti di inserire nella birra uva o suoi derivati nascono in USA e Belgio (alcuni con buoni risultati frutto di mani sapienti-Cantillon ne è l’esempio). Anche in italia abbiamo tra i primi sperimentatori connubi che sono diventati veri e proprio cult se non cavalli di battaglia rinnovando il brand del birrificio (il caso della birra al Cannonau del sardo Barley)… ma tutto il resto?

Il verdetto al bicchiere!

tratto da: “Fermento Birra Magazine”-Nicola Utzeri-

le migliori consigliate